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Allenare mente e spirito in cucina

Secondo il neuroscienziato Antonio Cerasa, che ha analizzato il funzionamento di alcuni «expert brain», l’attività ai fornelli è una straordinaria palestra, capace di rendere più plastico il cervello. Così la terapia basata sulla preparazione di ricette sta diventando oggetto di studio nel trattamento di difficoltà neurologiche, depressioni, ansie e crisi di coppia. Ci sono poi studiosi, come la psicoterapeuta Barbara Volpi, che oggi alternano alle classiche sedute attività pratiche con farine, lievito e impasti. Insegnando a trasformare il far da mangiare in un momento prezioso per la ricerca del benessere

In cucina come nella stanza dello psicoterapeuta. Il piano pulito, pronto ad essere infarinato, diventa il lettino dove confessarsi. Le mani che impastano lo strumento per tirare fuori i nodi da sciogliere. E i fornelli il luogo dove il cervello può ringiovanire e addirittura rinascere. Ce ne siamo accorti anche durante il lockdown di questa primavera: molti, nel preparare da mangiare per famiglia, amici e vicini, hanno trovato un’ancora di salvezza. Un modo per combattere la noia e, soprattutto, sentirsi vicini agli altri. Solo una sensazione? No. Secondo alcuni esperti cucinare è davvero terapeutico. Tanto che negli ultimi tempi si sta sviluppando una vera e propria forma di cura basata sulla preparazione attiva di piatti e ricette: la «cooking therapy», diventata oggi oggetto di studio scientifico. E solo negli ultimi mesi sull’argomento sono usciti due nuovi manuali, pronti a dimostrare che cucinare non è solo un’attività necessaria o un hobby ma è addirittura un tipo di allenamento neuronale per il nostro cervello; una tecnica d’avanguardia nel trattamento di pazienti neurologici e psichiatrici; e anche un esercizio di mindfulness per stare bene nella vita di tutti i giorni. Le 3 super abilità degli chef
Le prime prove che la cucina è capace di plasmare la testa le ha ricostruite Antonio Cerasa, neuroscienziato e ricercatore dell’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare del Cnr di Catanzaro, esperto di intelligenza artificiale e neuroriabilitazione. Durante la sua ricerca, racconta in La cooking therapy (appena uscito per FrancoAngeli), Cerasa ha studiato il funzionamento degli «expert brain», cioè i cervelli degli esperti, super allenati a svolgere determinate attività. Le categorie analizzate? I musicisti, i giocatori di basket e, appunto, gli chef. Il neuroscienziato si è reso conto che la mente dei cuochi ha più densità neuronale rispetto al resto della popolazione in tre particolari regioni cerebrali: la corteccia somato-sensoriale, il cervelletto anteriore e quello posteriore, cioè una delle regioni più plastiche e quindi allenabili a livello neuronale. Queste alterazioni positive nei cuochi, spiega Cerasa, sono dovute in particolare a tre superabilità, acquisite grazie all’allenamento in cucina: il blind cutting (cioè la destrezza nel tagliare velocemente con un coltello molto affilato guardando altro); la capacità di coordinare i movimenti di una brigata molto complessa; e quella di ricordarsi a memoria i passaggi di ricette complicate cucinando più piatti contemporaneamente senza perdere il filo di nessuna sequenza. Tutte attività gestite, appunto, dal cervelletto.

Il protocollo all’Istituto Sant’Anna
Che cosa significa, dunque, nella pratica? Che se ci si allena, anche ai fornelli, l’attività cerebrale migliora
. «E che, dunque, la cucina può essere una straordinaria palestra per la riabilitazione cognitiva — spiega Antonio Cerasa —, soprattutto in chi ha danneggiata proprio l’area del cervelletto». Dallo studio è nato, perciò, un protocollo operativo di «cooking therapy» realizzato con l’Istituto di Alta riabilitazione Sant’Anna di Crotone assieme a tre chef calabresi, Luca Abbruzzino, Antonio Biafora e Caterina Ceraudo. Come funziona? «Nell’istituto Sant’Anna c’è una cucina, per altro bellissima — continua Cerasa —, dedicata ai pazienti: vittime di traumi o ictus, persone con disabilità o che soffrono di perdita di attenzione e memoria. Attraverso la preparazione di piatti più o meno complessi, i pazienti reimparano gradualmente a coordinare il pensiero, velocizzare la testa, svolgere più attività contemporaneamente». Diciotto sono le ricette studiate, considerate perfette per la riabilitazione: dall’antipasto freddo di salsa di pomodoro e pesto alla pasta con cozze, zucchine e pinoli fino al filetto di carne con crema di broccoli, che nel libro Cerasa racconta passo dopo passo, secondo le sequenze motorie da seguire contemporaneamente. Come esercizio per allenare la mente.

Risincronizzare l’attività neuronale
Ma perché proprio la cucina? In fondo ci sarebbero altri strumenti, e altre attività, più tradizionali per arrivare all’obiettivo. «Senza dubbio — è convinto Cerasa — però cucinare è infinitamente più divertente». Anche perché preparare da mangiare ha uno straordinario effetto sul piano emotivo. «Grazie all’iperattività cerebrale legata alla ripetizione di atti consueti, conosciuti e provati nel tempo, i pensieri negativi vengono risincronizzati dalla bellezza che si sta componendo con le mani — scrive —. La ritmicità dei movimenti tra le padelle mette in ordine la confusione e il caos prodotti dagli stati d’ansia e depressione». Il cucinare, insomma, così come il camminare o l’ascoltare musica, continua Cerasa, porta «armonia, che cerebralmente si traduce con la sincronizzazione ritmica dell’attività elettrica neuronale». Ecco perché, è convinta anche la psicoterapeuta Barbara Volpi, docente all’Accademia di Psicoterapia Psicoanalitica (SAPP) di Roma e autrice di Che cos’è la cooking therapy(Carocci), la cucina può diventare uno straordinario mezzo per fare training psicologico. Non a caso nel suo studio professionale di Roma ha allestito già da tempo una cucina-laboratorio per la «cooking therapy». «È nata come esperienza sulla mia pelle — racconta —. Amo cucinare, sono diplomata chef e da sempre ai fornelli trovo le mie occasioni di relax e meditazione. Dunque alcuni anni fa ho pensato di cominciare a proporre ai miei pazienti alcune attività pratiche. E ora abitualmente alterno le classiche sedute psicanalitiche a momenti di laboratorio dinamico in cucina, per bambini con genitori, adulti, anche coppie». E i risultati, assicura Volpi, si vedono: «Mi piace raccontare la storia di un ragazzo che seguo da tempo, soffriva di mutismo selettivo. Da quando abbiamo cominciato assieme il laboratorio di cucina, ha ricominciato a parlare». La cucina, spiega Volpi, può essere utile ad alleviare soprattutto «sintomi depressivi, ansiosi, problemi di regolazione emotiva, iperattività, conflittualità familiari e di coppia e a dare un senso di efficacia a bambini, adolescenti, anziani».

La psicologia del vivere quotidiano
Dopo di che, secondo Volpi, lo stare in cucina è prezioso sempre. «Oggi stiamo riscoprendo la psicologia del vivere quotidiano, cioè l’importanza di semplici strumenti di sostegno». Come le attività pratiche. Il motivo? «L’uso delle mani permette un grande ancoraggio alla realtà, costringe a restare attenti e concentrati senza giudicare, solo osservando quello che si crea. E visto che mangiamo tutti i giorni è più facile approfittare della cucina. Tanto più che ai fornelli l’errore si può correggere sempre: pensiamo a quante ricette sono nate sbagliando, come la famosa crostata rovesciata di Bottura. Un grande insegnamento di vita. E poi, nella velocità del mondo pre-pandemia, l’avevamo dimenticato: quando andiamo al mercato a fare la spesa e poi cuciniamo portiamo il buono dentro casa, ci prendiamo cura di noi stessi e di chi ci sta vicino. Lavorare ai fornelli, insomma, è un potente strumento affettivo. E quando la pandemia finirà, non dovremo dimenticarlo». Non a caso, anche a Milano, stanno nascendo corsi di mindful cooking, cucina per la consapevolezza.

Mindfulness
In quest’ottica, dunque, ciascuno può avvalersi delle potenzialità benefiche del cucinare. A una condizione. «Come in tutte le attività incentrate sulla ricerca del benessere interiore, l’ambiente è importante — raccomanda Volpi —. Dunque la stanza deve essere ordinatissima: dispensa attrezzata, utensili puliti, ingredienti pesati nelle ciotoline, piano da lavoro pronto». Poi, serve il giusto tempo a disposizione: telefono silenzioso e nessuna interruzione. L’obiettivo è concentrarsi sull’atto di preparazione del cibo, sulla consapevolezza del presente. Così, attraverso la manipolazione degli ingredienti, mentre si tagliano le verdure e il sugo sobbolle in pentola, «la mente si apre a una riflessività interiore più profonda, che può far emergere ricordi, momenti vissuti e punti luce: gli insights, i quali, una volta completato il piatto, possono tornare a illuminarci la vita».

Fonte: corriere.it